Ma è davvero così? E' vero che il potere garantisce ai suoi cittadini la ricerca della felicità? In un articolo del giornale La Stampa, Maggioni e Pellizzari affrontano questo tema in ambito economico, sostenendo che "ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che può realisticamente ottenere", inoltre si pongono addirittura il dubbio del perchè, nonostante il reddito pro capite sia cresciuto, gli europei non siano più contenti di 20 anni fà! Come si può pensare che l'essere umano possa raggiungere davvero lo stato di felicità assoluta in rapporto alle entrate di denaro. Si certo, ci sarà un momento di entusiasmo per il fatto di avere più beni materiali rispetto a un tempo passato, ma quest'entusiasmo non è certo ciò a cui l'uomo aspira.
Fortunatamente la storia ha avuto personaggi della portata di Robert Kennedy, famoso giornalista e fratello del presidente americano John F. Kennedy, uno dei pochi che affermava con decisione che il P.I.L. (prodotto interno lordo) di uno stato non misura certamente il livello di felicità del medesimo. Successivamente, poco tempo dopo aver pronunciato questo discorso, morì ucciso.
Dati questi pensieri, si incomincia a capire come gli stati, e le relative costituzioni, abbiano un concetto di felicità sbagliato, contorto, e perciò è bene porsi questa domanda: è vero che il potere garantisce ai suoi cittadini il perseguimento di essa? Si, della felicità economica! Quella che un pò tutti e un po' nessuno possono effettivamente raggiungere; si può dire che gli stati danno almeno l'illusione e questo, come diceva il caro Leopardi, dona quello stato di felicità opacizzata, di entusiasmo irrefrenabile per ciò che potrebbe avvenire in un futuro.
In realtà, una volta diventati ricchi, l'uomo diventa nuovamente inappagato, spinto da interessi e sogni ancora più grandi e di difficile realizzazione. Fondamentalmente è ciò che il modello consumistico di questo sistema capitalista impone alle masse: "compra e sarai felice"; sa un po' di bufala, non trovate?
In realtà c'è qualcuno che una volta rotti tutti i legami con questa società, ha perseguito e ricercato realmente la suddetta felicità. Christopher McCandless, protagonista del film, tratto dalla sua vita, Into the Wild, non la pensava certamente come Bauman, che nel suo libro L'arte del vivere ha uguagliato la speranza di sfuggire all'incertezza con la felicità. Christopher pensava nettamente l'opposto; partito a piedi verso l'Alaska, affermava che la felicità dell'uomo sta nell'incertezza del suo futuro. Dopo una vita passata a viaggiare e a conoscere persone interessanti, morì di fame o di avvelenamento in un autobus nella solitudine più estrema che solo la narura selvaggia dell'Alaska poteva dare.
Ma allora, visti tutti questi esempi e queste esperienze, cosa può rendere felice l'uomo?
Difficile rispondere ad un quesito a cui probabilmente non è mai stata data risposta sin da quando l'attuale specie umana è nata. Ma riguardando le vite di personaggi proprio come Christopher McCandless, sembra evidente che l'unica felicità realizzabile, per l'uomo, corrisponde alla sua stessa ricerca.
Luca Martis
(N.B.: post tratto da rompilecatene.blogspot.it)
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