venerdì 5 giugno 2015

Pier Paolo Pasolini: "Il vuoto del potere" ovvero "l'articolo delle lucciole".

La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente. Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra "fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico", ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).
Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa. Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio).
Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole". Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.
Prima della scomparsa delle lucciole
La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale.
Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani.
Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione.
Durante la scomparsa delle lucciole
In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul "Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo". Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava Marx.
Dopo la scomparsa delle lucciole
I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia). A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio,
aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.
In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché
l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico.
Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era
completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere "totalitario" iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I "modelli" fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima. È ridicolo dunque che Fortini retrodati la distinzione tra fascismo e fascismo al primo dopoguerra: la distinzione tra il fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del potere democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma probabilmente nell'intera storia.
Io tuttavia non scrivo il presente articolo solo per polemizzare su questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo il presente articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola. Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli uomini di potere?". La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura.
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante).
Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre (cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole – gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere. Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto.
Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico.
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.

Corriere della Sera, 1 Febbraio 1975

Luca Martis

lunedì 1 giugno 2015

Elezioni Regionali 2015: un'analisi diversa.

A differenza di come il metodo comune calcoli i risultati delle elezioni, è preferibile, almeno dal mio punto di vista, andare a calcolare il numero di voti effettivi, in modo da tener conto sia dell'eventuale perdita e dell'eventuale guadagno di voti, sia del numero di persone che non sono andate a votare, il grandissimo popolo degli astenuti quindi. Si tratta di un lavoro noioso persino da leggere, ma necessario se si vuole avere un'idea chiara e reale della situazione politica italiana.

Questi sono i risultati:

Campania: Vincenzo de Luca perde circa 250.000 voti (da 1.258.000 a 987.000). Il PD registra un calo di circa 100.000 voti (da 589.000 a 443.000). Caldoro, della coalizione di centro-destra, che aveva vinto nelle precedenti elezioni, perde circa 600 mila voti, posizionandosi oggi in seconda posizione. Il M5S con la Ciarambino, ne guadagna circa 400 mila rispetto al 2010 con Fico (da 39.000 a 420.000). 

Puglia: la coalizione di centro-sinistra capitanata da Emiliano da 1.036.000 voti guadagnati con Nichi Vendola, questa volta perde circa 300.000 voti (791.000 in tutto). Il PD ne perde circa 100.000 passando da 410.000 a 316.000 voti. Schittulli, coalizione di Fitto, ne perde circa 350.000 se si considerano le due coalizioni di centro-destra unite (da 899.000 a 540.000 voti) mentre il M5S, presente per la prima volta alle Regionali in Puglia, con Laricchia ne prende 309.000, oltrepassando così il centro-destra.  

Veneto: Ahimè, anche Zaia perde circa 400.000 voti (da 1.528.000 a 1.107.000). La coalizione di centro-sinistra ne perde circa 200.000 ( da 738.000 di Bortolussi ai 502.000 della Moretti), e più precisamente il PD ne perde circa 150.000 (da 456.000 a 308.000). Invece in controtendenza rispetto agli altri, il M5S ne guadagna ben 180.000 rispetto al 2010 (passando dagli 80.000 di Borrelli ai 262.000 di Berti). Non ha giovato alla Lega e a Zaia la scissione con Tosi; se unissimo i voti la perdita di Zaia sarebbe stata meno ingente (100.000 voti).

Umbria: Marini, della coalizione di centro-sinistra, perde circa 100.000 voti (da 257.000 a 159.000) mentre il PD ne perde circa 20.000. La coalizione di centro-destra con Ricci ne perde 20.000, con un incremento della Lega Nord pari a 30.000 voti. Rispetto al vecchio Popolo delle Libertà, Forza Italia ne perde circa 100.000. Prima comparsa invece per il M5S, il quale guadagna con Liberati 53.000 voti. 

Toscana: Enrico rossi, coalizione di centro-sinistra, perde circa 400.000 voti (da 1.053.000 a 656.000), mentre il PD ne perde circa 30.000. Se nel 2010 la coalizione di centro-destra (Lega Nord e Popolo delle Libertà) guadagnava 608.000 voti, nel 2015 Borghi, coalizione Lega Nord e Fratelli d'Italia, ne guadagna approssimativamente 100.000, mentre Forza Italia con Mugnai ne perde 300.000.  Se sommate queste due parti, che ricordo nel 2010 erano unite, osserviamo un calo di circa 200.000 voti. Prima comparsa ancora del M5S, che con Giannarelli ne guadagna 205.000.

Marche: Luca Ceriscioli, coalizione centro-sinistra, perde circa 150.000 voti (da 409.000 a 251.000), mentre il PD ne perde circa 40.000. Se nel 2010 Marinelli, Popolo delle Libertà e Lega Nord, guadagnava 306.000 di voti, nel 2015 i due partiti si presentano divisi; pertanto Acquaroli,  Lega Nord e Fratelli d'Italia, guadagna circa 60.000 voti, al contrario di Forza Italia che ne perde circa 160.000 con Spacca. Se dovessimo unire le due coalizioni per fare un parallelo con il 2010, il centro destra perde circa 100.000 voti. Prima comparsa del M5S, che guadagna con Maggi 133.000 voti al primo colpo.

Liguria: Toti, coalizione di centro-destra, perde circa 160.000 voti (da 389.000 a 226.000); Lega Nord ne guadagna circa 30.000 ma Forza Italia ne perde ben 150.000. La coalizione di centro-sinistra, che nel 2010 aveva vinto le elezioni con Burlando, nel 2015 arriva seconda con Paita, totalizzando una perdita di voti pari a 240.000 voti (da 424.000 a 226.000). Il PD invece ne perde circa 80.000. Nuovamente prima comparsa del M5S, che guadagna con la Salvatore, 163.000 voti.

L'affluenza varia dal 50% al 57%, pertanto gli astenuti risultano ancora i vincitori di queste elezioni. 
Come si può evincere da quest'analisi, il partito, o in questo caso meglio dire movimento, che ha guadagnato il maggior numero di voti rispetto al passato è il M5S, ovviamente aiutato dal fatto che in molte regioni nel 2010 non era presente.  Anche la Lega Nord guadagna parecchi voti. 
Vari sono i fatti fondamentali da sottolineare:
- se dovessimo confrontare i singoli partiti, il M5S si presenterebbe come una delle forze nazionali più importanti, pareggiando e/o superando (vedi caso Liguria) i singoli partiti presenti nelle coalizioni;
- le coalizioni di sinistra e di destra sono composte da numerosi micro-partitini, importantissimi per le realtà locali dato che la coalizione estende il proprio gioco d'interessi, coinvolgendo personalmente un numero maggiore di votanti (parlo proprio della trama di relazioni, lecite o illecite che siano, radicata nella politica locale italiana). 
- se teniamo conto del fatto che il PD è al governo e Renzi sta provando in tutti modi di apparire in maniera degna con tutte le riforme che sta attuando (apparentemente positive ma nella sostanza negative), si capisce come la gente stia pian piano alzando la testa e scorgendo non più l'ombra tanto carina, bensì le vere fattezze di questo politicante neo-liberista, servo dei poteri forti;
- a differenza di quanto dicono i mass media, non c'è cosa più lontana della resurrezione di Berlusconi; la sua morte politica è ancora lentamente in atto, nonostante la vittoria di Toti.
Ciò che bisogna capire è che le rivoluzioni e i cambiamenti radicali non avvengono nel giro di due anni, e tutte le elezioni che si stanno susseguendo dal 2013 ad oggi ne sono la prova. Una lenta scalata verso il cambiamento sta avvenendo, e il Potere sta giocando lentamente tutte le sue carte: Monti, Letta, Renzi; ha perfino deciso di rivelare la sostanziale uguaglianza di Destra e Sinistra col patto del Nazareno, e tutto questo per perpetuare l'insostenibile sistema neo-liberista. Come già annunciato in precedenti articoli, vedremo ancora cose mai viste. Ebbene, più il Potere si troverà in difficoltà e più la situazione peggiorerà, e noi a quel punto dovremo essere coraggiosi.

Luca Martis.


domenica 16 marzo 2014

Il blog si apre anche a voi!

A tutti i lettori del nostro blog e non solo, siamo lieti di comunicarvi che "Il Pensiero divergente" apre le porte a tutti voi che ci seguite. Da oggi infatti saremo disponibili a pubblicare i vostri articoli, i vostri pensieri, le vostre storie e, perché no, anche la vostra arte! Dovete solamente inviare una e-mail all'indirizzo lucacorradoblog@gmail.com . Dopo averne presa la visione, una volta alla settimana metteremo online ciò che ci inviate. 
Eventuali post che non rispecchiano l'animo di "Il Pensiero divergente" verranno scartati. 
Mi raccomando, partecipate numerosi e non abbiate timore. Per ogni dubbio inviateci una e-mail e non esiteremo a rispondervi. 

giovedì 27 febbraio 2014

La vera rivoluzione che abbatte il sistema.

E' palese ormai già da tempo, ma da quando l'ultima crisi economica è venuta alla luce ancora di più, l'idea che l'attuale sistema capitalista ha fallito. Due sono le domande che bisogna porsi per determinare se questa affermazione possa risultare esatta:
-sta funzionando il sistema? Le numerose crisi economiche che si sono susseguite ne sono una testimonianza certa, il sistema non funziona. L'ambizione alla ricchezza, che si traduce in ambizione al potere (caratteristica basilare del capitalismo) crea inevitabilmente i mali che oggi ci ritroviamo inutilmente a combattere. La speculazione in borsa, la corruzione della politica e le magagne dei poteri forti non possono essere eliminate proprio perchè sono prodotti del sistema;
-i valori che si stanno sviluppando rispecchiano effettivamente ciò a cui l'essere umano aspira, ovvero la felicità? Basta guardarsi intorno per rispondere a questa domanda. La competitività propria del capitalismo s'incarna ovviamente anche nei meandri della società, traducendosi nella cosiddetta "scalata sociale". L'odio, l'invidia e l'egoismo che ne scaturiscono non sono di certo in sintonia con l'idea di felicità, anzi la distruggono.
Una volta arrivati alla conclusione che l'attuale sistema è nocivo, come lo si può cambiare in maniera radicale? La prima soluzione, probabilmente istintiva, è l'uso della violenza. La rivoluzione armata rieccheggia sempre nei periodi di crisi ma questo non significa affatto che essa sia la strada da imboccare. Quando una soluzione si è gia attuata e i suoi frutti sono stati decisamente fallimentari, allora bisogna scartarla a priori. Gli anarchici della Guerra civile spagnola si lasciarono alle spalle numerosissimi morti, giustiziando non solo i clericali e le categorie che avevano identificato come nemiche della causa, ma anche cadendo in errore e uccidendo persone che non c'entravano assolutamente nulla. Una spirale d'odio che gli si ripercosse contro.
Inoltre, bisogna rendersi conto che una rivoluzione violenta nel XXI secolo non può sussistere, non è fattibile. I tempi cambiano e anche i mezzi devono cambiare.
Ma esiste un modo necessariamente giusto per abbattere un sistema così radicato nella vita e nel pensiero delle masse? La risposta a questa domanda la si può trovare in un'altra domanda... Come si crea un'influenza importante nei confronti delle masse pari a quella esercitata dalla società dei consumi? 
Attraverso una rivoluzione culturale che parte da nuovi intellettuali e che abbraccia i campi della filosofia, della politica, della scienza, della letteratura, dell'arte e della musica; un nuovo movimento culturale vecchio stile che abbia come unico obiettivo il perseguimento della felicità nel giusto.


Luca Martis


giovedì 20 febbraio 2014

I limiti del mondo moderno

Viviamo in una società frenetica, in cui spesso corriamo ma spesso non sappiamo in che direzione andare. Siamo condizionati dagli schemi imposti dalla società e alla fine non riusciamo a esprimere noi stessi perché siamo paralizzati da un sistema che da noi non chiede l'auto-realizzazione, ma il profitto. E quando un sistema entra in crisi (come d'altronde accade dal 2008), difficilmente pensiamo a come il problema si sia originato, ma pensiamo subito a come risolverlo nel minor tempo possibile (o almeno, questa è la logica dei governi).

In tempi di recessione economica, stringere la cinghia e andare avanti è cosa dovuta. Dinanzi a queste situazioni, tendiamo a pensare che questi crack siano fisiologici, che la ripresa è alle porte e che ne usciremo meglio di prima.
La ricetta per uscire dalla crisi? Rilanciare i consumi e diventare competitivi: col primo obbiettivo incrementiamo il PIL, col secondo avremo delle aziende leader nei profitti.
Queste affermazioni, che possono risuonare come giuste ed efficaci (anche perché le abbiamo sentite tante e troppe volte), dietro di loro nascondono un sistema becero e sprecone, sordo alle esigenze umane e felice ai numeri.

Per quanto riguarda il PIL, la critica più stringente è che non tiene conto delle istanze umane più basilari (come il garantire cibo, acqua, istruzione, salute alle persone) e punta tutto sulla produzione illimitata di oggetti che dovranno essere comprati, rotti e ricomprati dalla società. Il sistema così esce fuori dalla sua dimensione umana ed entra in quella numerica in cui ad essere importante non è più la condizione di vita delle persone, ma l'accumulare più cose possibili per garantire profitti e PIL. E' la quantità che primeggia sulla qualità.
A fine post vi ho allegato il discorso di Robert Kennedy (fratello del presidente John) che meglio di tutti descrive questo scellerato indice di 'sviluppo' umano.

Il sistema del PIL non è solo ingiusto con le persone (cioè noi), ma è addirittura controproducente: in esso sono inclusi anche gli sprechi di cibo, di energia, gli incidenti automobilistici etc. Insomma, non solo il sistema per valutare il benessere delle persone si basa sul consumo e non sulle persone stesse, ma trova sua linfa vitale anche nello spreco. Infine, ecco una domanda che si pongono decrescisti e critici di questo 'sviluppo': “Come è possibile che in un mondo di risorse finite si generi una crescita infinita?”. Lasciamo le riflessioni ai nostri lettori.

Anche la stessa competitività aziendale riserva qualche pro e molti contro... Di fatti, se è vero che un'azienda che va bene assume nuovi lavoratori e garantisce occupazione, bisogna stare attenti alle condizioni di lavoro imposte: le piccole imprese, per poter competere con quelle maggiori, spesso sono costrette ad operare licenziamenti e nella migliore delle ipotesi a rinegoziare i contratti togliendo fondi alle politiche sociali del lavoratori. Così facendo si arriva alla situazione paradossale nella quale l'azienda registra il segno più nei bilanci, ma i lavoratori (cioè le persone) arrivano a percepire salari più bassi ed hanno meno tutele sociali (d'altronde da qualche anno si parla di togliere o di limitare l'articolo 18). La beffa è che spesso la competizione viene fatta da quelle multinazionali che devono la loro fortuna alla manodopera a basso costo e al disinteresse verso i diritti di chi li fa guadagnare. E noi, per competere, dobbiamo abbassarci a loro?

Evidentemente nel sistema del mercato qualcosa non va. La mera concorrenza fa perdere diritti, l'incremento dei consumi fa sprecare risorse: forse anziché provare a rimettere in sesto un sistema illogico agli umani e logico ai numeri e ai consumi, bisognerebbe essere un po' più folli e proporre nuove idee, un nuovo modo di guardare alla realtà e allo sviluppo, quello vero, della società.

Corrado Schininà



martedì 18 febbraio 2014

Oltre la comicità: Bill Hicks.

William Melvin "Bill" Hicks (1961-1994), nasce a Valdosta, in Georgia.  Cresciuto nel bigottismo di una famiglia di fede battista, Hicks si dissocia ben presto da questo tipo di educazione religiosa. Scrisse sketch fin da ragazzo e inizia a lavorare nel locale Comedy Workshop a Houston, dove sviluppa il suo talento per l'improvvisazione. Dopo l'esperienza dell'università, incontra il mondo della droga, una tematica molto presente nei suoi spettacoli. Il successo comincia nel 1984, quando David Letterman lo invita a partecipare nel suo programma, restandone colpito, ma il vero successo arriva negli anni Novanta, pubblicando album quali One Night Stand, Relentless e Reveletions, riscuotendo grande fama pure nel Regno Unito e in Irlanda. Non regge l'uso abbondante di sostanze stupefacenti e, diagnosticato un cancro del pancreas, muore mentre lavorava alla realizzazione dell'episodio pilota di un nuovo talk-show, puntata poi trasmessa nel 2004. 
Gli argomenti che caratterizzano i suoi spettacoli sono molto vari e controversi: dai temi della tossicodipendenza e l'elogio dei particolari effetti di droghe come marijuana, LSD e funghi allucinogeni, alla la religione e il suo bigottismo contradditorio, dalla pubblicità al sesso. Uno dei must è l'assassinio di John F. Kennedy, in cui espone una certa tendenza al cospirazionismo verso questo evento.
Bill Hicks non è un comico normale. I suoi tour sono irriverenti, stravolgono il pensiero degli spettatori più moralisti e intensificano le idee di quelli più aperti mentalmente. Lo scopo del suo spettacolo, come spiega in un intervista della BBC nel 1992, è quello di interagire con il pubblico come se fosse un proprio amico, e di instaurare un dialogo che verta su argomenti seri, tutto ciò con l'uso di una comicità pungente, mostrando così le contraddizioni dei vari temi trattati. Il suo intento era quello di far pensare.
Dopo aver capito il suo modo di fare è facile intendere che il fine del comico statunitense non è solo quello di far ridere la gente; dietro la maschera della comicità si nasconde infatti una filosofia che promuove palesemente la libertà di scelta di ogni individuo, senza che essa intacchi ovviamente la libertà altrui. Hicks crede fermamente che la vita sia solo "un giro di giostra", al quale decidiamo di partecipare e che non ha una vera importanza perché prima o poi scenderemo da quella giostra, come per dire che la nostra vita non è nient'altro che un momento di un'esistenza ben più lunga e rilevante. Per rendere più vivibile questo giro di giostra però bisogna compiere una scelta fra paura (ovvero la diffidenza e la sfiducia verso il genere umano) e l'amore (ovvero vedere tutta l'umanità come una cosa sola). Qui sotto vi proporrò proprio lo spezzone dello spettacolo in cui espone la sua particolare visione delle cose appena riportata. Buona visione!

Luca Martis

venerdì 14 febbraio 2014

Il colpo di Stato non è ancora finito!

La pagliacciata è iniziata nel novembre del 2011 e continua inesorabilmente come se niente e nessuno potesse fermarla. Più che una pagliacciata, sembra un incubo dal quale il popolo italiano non vuole svegliarsi. Comincia tutto con la nomina del governo tecnico presieduto da Mario Monti (targato Bilderberg e Goldman Sachs) e voluto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l'unico che ha avuto l'onore di ricevere per due volte consecutive il mandanto alla presidenza della Repubblica. Probabilmente tutto ciò non bastava ai poteri forti, quindi hanno pensato bene di rendere le elezioni dell'aprile 2013 un'ennesima pagliacciata; Napolitano nomina Enrico Letta (targato anche lui Bilderberg e Trilaterale) che a sua volta nomina vari ministri amici dei poteri forti, come Emma Bonino, anche lei amante delle riunioni segrete che il Club Bilderberg svolge annualmente. L'ennesima tappa è stata segnata ieri, quando per un motivo o per un altro il PD ha deciso di sfiduciare Letta e di far entrare al suo posto il "volto nuovo e giovane" della politica Matteo Renzi, sempre senza consultare l'ormai irrisoria sovranità popolare. 
La scalata politica del nuovo governante d'Italia è già nota: prima viene eletto presidente della provincia di Firenze, poi diventa sindaco della città rinascimentale e infine, dopo vari conguagli, diventa segretario del PD sbaragliando gli avversari Cuperlo e Civati. Non poteva certamente rinunciare alla presidenza del  Consiglio. Interessante risulta l'intervento nel blog di Beppe Grillo, che afferma "Letta e Renzie sono dei prestanome, utili a chi li ha sostenuti e li sostiene. Marionette. Il Parlamento e lo stesso Governo sono un'illusione ottica e il Quirinale una monarchia. Dall'esterno il cittadino assiste a una squallida lotta tra bande per il potere mentre <nel fango affonda lo stivale dei maiali>". Questo ragionamento diviene logico se si pensa che Renzi otterrà il controllo delle nomine delle aziende di Stato (ENI, ENEL, Finmeccanica) che scadranno tra due mesi.
Ma perchè hanno licenziato Letta? Non rendeva bene l'incarico di Premier dei poteri forti? Eppure il suo curriculum era abbastanza promettente. Lo Sai, un blog d'informazione controcorrente dà una probabile risposta a questa domanda sostenendo che le dimissioni siano state causate anche da una frase detta alla trasmissione Otto e mezzo e nel quale sosterrebbe che se avesse la possibilità di stampare moneta risolverebbe i problemi. Personalmente la ritengo un'esagerazione, ma le vie dei poteri forti sono infinite e quindi purtroppo il dubbio rimane.
I tragici eventi della democrazia italiana continuano e, dopo la ghigliottina messa in atto da Laura Boldrini, sembra che il potere decisionale degli italiani sia stato messo da parte per perseguire un interesse sempre più grande: Europa docet oramai, se non si è sulla prospettiva giusta si viene tagliati fuori! E' successo al festaiolo Berlusconi, è successo al Movimento 5 Stelle, è successo agli italiani. Il mostro di cui non conosciamo l'identità avanza, si percepiscono le sue magagne, si rendono palesi, ma nonostante ciò buona parte della gente non vuole rendersi consapevole e vede in Renzi un buon sostegno per quest'Italia sfinita e all'ultimo respiro. Il PD fa previsioni fino al 2018, non conscio probabilmente dell'ancora instabilità che si ripercuote nella politica italiana. L'infinito colpo di Stato continua e ne vedremo delle belle!

Luca Martis