A
tutti i lettori del nostro blog e non solo, siamo lieti di
comunicarvi che "Il Pensiero divergente" apre le porte a
tutti voi che ci seguite. Da oggi infatti saremo disponibili a
pubblicare i vostri articoli, i vostri pensieri, le vostre storie e,
perché no, anche la vostra arte! Dovete solamente inviare una e-mail
all'indirizzo lucacorradoblog@gmail.com . Dopo averne presa la
visione, una volta alla settimana metteremo online ciò che ci
inviate.
Eventuali post che non rispecchiano l'animo di "Il Pensiero divergente" verranno scartati. Mi raccomando, partecipate numerosi e non abbiate timore. Per ogni dubbio inviateci una e-mail e non esiteremo a rispondervi.
E'
palese ormai già da tempo, ma da quando l'ultima crisi economica è
venuta alla luce ancora di più, l'idea che l'attuale sistema
capitalista ha fallito. Due sono le domande che bisogna porsi per
determinare se questa affermazione possa risultare esatta:
-sta
funzionando il sistema? Le numerose crisi economiche che si sono
susseguite ne sono una testimonianza certa, il sistema non funziona.
L'ambizione alla ricchezza, che si traduce in ambizione al potere
(caratteristica basilare del capitalismo) crea inevitabilmente i mali
che oggi ci ritroviamo inutilmente a combattere. La speculazione in
borsa, la corruzione della politica e le magagne dei poteri forti non
possono essere eliminate proprio perchè sono prodotti
del sistema;
-i
valori che si stanno sviluppando rispecchiano effettivamente ciò a
cui l'essere umano aspira, ovvero la felicità?
Basta guardarsi intorno per rispondere a questa domanda. La
competitività propria del capitalismo s'incarna ovviamente anche nei
meandri della società, traducendosi nella cosiddetta "scalata
sociale". L'odio, l'invidia e l'egoismo che ne scaturiscono non
sono di certo in sintonia con l'idea di felicità, anzi la
distruggono.
Una
volta arrivati alla conclusione che l'attuale sistema è nocivo, come
lo si può cambiare in maniera radicale? La prima soluzione,
probabilmente istintiva, è l'uso della violenza. La rivoluzione
armata rieccheggia sempre nei periodi di crisi ma questo non
significa affatto che essa sia la strada da imboccare. Quando una
soluzione si è gia attuata e i suoi frutti sono stati decisamente
fallimentari, allora bisogna scartarla a priori. Gli anarchici della
Guerra civile spagnola si lasciarono alle spalle numerosissimi
morti, giustiziando non solo i clericali e le categorie che avevano
identificato come nemiche della causa, ma anche cadendo in errore e
uccidendo persone che non c'entravano assolutamente nulla. Una
spirale d'odio che gli si ripercosse contro.
Inoltre,
bisogna rendersi conto che una rivoluzione violenta nel XXI secolo
non può sussistere, non è fattibile. I tempi cambiano e anche i
mezzi devono cambiare. Ma esiste un modo necessariamente giusto per abbattere un sistema così radicato nella vita e nel pensiero delle masse? La risposta a questa domanda la si può trovare in un'altra domanda... Come si crea un'influenza importante nei confronti delle masse pari a quella esercitata dalla società dei consumi? Attraverso una rivoluzione culturale che parte da nuovi intellettuali e che abbraccia i campi della filosofia, della politica, della scienza, della letteratura, dell'arte e della musica; un nuovo movimento culturale vecchio stile che abbia come unico obiettivo il perseguimento della felicità nel giusto.
Viviamo
in una società frenetica, in cui spesso corriamo ma spesso non
sappiamo in che direzione andare. Siamo condizionati dagli schemi
imposti dalla società e alla fine non riusciamo a esprimere noi
stessi perché siamo paralizzati da un sistema che da noi non chiede
l'auto-realizzazione, ma il profitto. E quando un sistema entra in
crisi (come d'altronde accade dal 2008), difficilmente pensiamo a
come il problema si sia originato, ma pensiamo subito a come
risolverlo nel minor tempo possibile (o almeno, questa è la logica
dei governi).
In
tempi di recessione economica, stringere la cinghia e andare avanti è
cosa dovuta. Dinanzi a queste situazioni, tendiamo a pensare che
questi crack siano fisiologici, che la ripresa è alle porte e che ne
usciremo meglio di prima.
La
ricetta per uscire dalla crisi? Rilanciare i consumi e diventare
competitivi: col primo obbiettivo incrementiamo il PIL, col secondo
avremo delle aziende leader nei profitti.
Queste
affermazioni, che possono risuonare come giuste ed efficaci (anche
perché le abbiamo sentite tante e troppe volte), dietro di loro
nascondono un sistema becero e sprecone, sordo alle esigenze umane e
felice ai numeri.
Per
quanto riguarda il PIL, la critica più stringente è che non tiene
conto delle istanze umane più basilari (come il garantire cibo,
acqua, istruzione, salute alle persone) e punta tutto sulla
produzione illimitata di oggetti che dovranno essere comprati, rotti
e ricomprati dalla società. Il sistema così esce fuori dalla sua
dimensione umana ed entra in quella numerica in cui ad essere
importante non è più la condizione di vita delle persone, ma
l'accumulare più cose possibili per garantire profitti e PIL. E' la
quantità che primeggia sulla qualità.
A
fine post vi ho allegato il discorso di Robert Kennedy (fratello del
presidente John) che meglio di tutti descrive questo scellerato
indice di 'sviluppo' umano.
Il
sistema del PIL non è solo ingiusto con le persone (cioè noi), ma è
addirittura controproducente: in esso sono inclusi anche gli sprechi
di cibo, di energia, gli incidenti automobilistici etc. Insomma, non
solo il sistema per valutare il benessere delle persone si basa sul
consumo e non sulle personestesse,
ma trova sua linfa vitale anche nello spreco. Infine, ecco una
domanda che si pongono decrescisti e critici di questo 'sviluppo':
“Come è possibile che in un mondo di risorse finite si generi
una crescita infinita?”. Lasciamo le riflessioni ai nostri
lettori.
Anche
la stessa competitività aziendale riserva qualche pro e molti
contro... Di fatti, se è vero che un'azienda che va bene assume
nuovi lavoratori e garantisce occupazione, bisogna stare attenti alle
condizioni di lavoro imposte: le piccole imprese, per poter
competere con quelle maggiori, spesso sono costrette ad operare
licenziamenti e nella migliore delle ipotesi a rinegoziare i
contratti togliendo fondi alle politiche sociali del lavoratori. Così
facendo si arriva alla situazione paradossale nella quale l'azienda
registra il segno più nei bilanci, ma i lavoratori (cioè le
persone) arrivano a percepire salari più bassi ed hanno meno tutele
sociali (d'altronde da qualche anno si parla di togliere o di
limitare l'articolo 18). La beffa è che spesso la competizione viene
fatta da quelle multinazionali che devono la loro fortuna alla
manodopera a basso costo e al disinteresse verso i diritti di chi li
fa guadagnare. E noi, per competere, dobbiamo abbassarci a loro?
Evidentemente nel sistema del mercato qualcosa non va. La mera concorrenza fa perdere diritti, l'incremento dei consumi fa sprecare risorse: forse anziché provare a rimettere in sesto un sistema illogico agli umani e logico ai numeri e ai consumi, bisognerebbe essere un po' più folli e proporre nuove idee, un nuovo modo di guardare alla realtà e allo sviluppo, quello vero, della società.
William Melvin "Bill" Hicks (1961-1994), nasce a Valdosta, in Georgia. Cresciuto nel bigottismo di una famiglia di fede battista, Hicks si dissocia ben presto da questo tipo di educazione religiosa. Scrisse sketch fin da ragazzo e inizia a lavorare nel locale Comedy Workshop a Houston, dove sviluppa il suo talento per l'improvvisazione. Dopo l'esperienza dell'università, incontra il mondo della droga, una tematica molto presente nei suoi spettacoli. Il successo comincia nel 1984, quando David Letterman lo invita a partecipare nel suo programma, restandone colpito, ma il vero successo arriva negli anni Novanta, pubblicando album quali One Night Stand, Relentless e Reveletions, riscuotendo grande fama pure nel Regno Unito e in Irlanda. Non regge l'uso abbondante di sostanze stupefacenti e, diagnosticato un cancro del pancreas, muore mentre lavorava alla realizzazione dell'episodio pilota di un nuovo talk-show, puntata poi trasmessa nel 2004.
Gli argomenti che caratterizzano i suoi spettacoli sono molto vari e controversi: dai temi della tossicodipendenza e l'elogio dei particolari effetti di droghe come marijuana, LSD e funghi allucinogeni, alla la religione e il suo bigottismo contradditorio, dalla pubblicità al sesso. Uno dei must è l'assassinio di John F. Kennedy, in cui espone una certa tendenza al cospirazionismo verso questo evento.
Bill Hicks non è un comico normale. I suoi tour sono irriverenti, stravolgono il pensiero degli spettatori più moralisti e intensificano le idee di quelli più aperti mentalmente. Lo scopo del suo spettacolo, come spiega in un intervista della BBC nel 1992, è quello di interagire con il pubblico come se fosse un proprio amico, e di instaurare un dialogo che verta su argomenti seri, tutto ciò con l'uso di una comicità pungente, mostrando così le contraddizioni dei vari temi trattati. Il suo intento era quello di far pensare.
Dopo aver capito il suo modo di fare è facile intendere che il fine del comico statunitense non è solo quello di far ridere la gente; dietro la maschera della comicità si nasconde infatti una filosofia che promuove palesemente la libertà di scelta di ogni individuo, senza che essa intacchi ovviamente la libertà altrui. Hicks crede fermamente che la vita sia solo "un giro di giostra", al quale decidiamo di partecipare e che non ha una vera importanza perché prima o poi scenderemo da quella giostra, come per dire che la nostra vita non è nient'altro che un momento di un'esistenza ben più lunga e rilevante. Per rendere più vivibile questo giro di giostra però bisogna compiere una scelta fra paura (ovvero la diffidenza e la sfiducia verso il genere umano) e l'amore (ovvero vedere tutta l'umanità come una cosa sola). Qui sotto vi proporrò proprio lo spezzone dello spettacolo in cui espone la sua particolare visione delle cose appena riportata. Buona visione!
La pagliacciata è iniziata nel novembre del 2011 e continua inesorabilmente come se niente e nessuno potesse fermarla. Più che una pagliacciata, sembra un incubo dal quale il popolo italiano non vuole svegliarsi. Comincia tutto con la nomina del governo tecnico presieduto da Mario Monti (targato Bilderberg e Goldman Sachs) e voluto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l'unico che ha avuto l'onore di ricevere per due volte consecutive il mandanto alla presidenza della Repubblica. Probabilmente tutto ciò non bastava ai poteri forti, quindi hanno pensato bene di rendere le elezioni dell'aprile 2013 un'ennesima pagliacciata; Napolitano nomina Enrico Letta (targato anche lui Bilderberg e Trilaterale) che a sua volta nomina vari ministri amici dei poteri forti, come Emma Bonino, anche lei amante delle riunioni segrete che il Club Bilderberg svolge annualmente. L'ennesima tappa è stata segnata ieri, quando per un motivo o per un altro il PD ha deciso di sfiduciare Letta e di far entrare al suo posto il "volto nuovo e giovane" della politica Matteo Renzi, sempre senza consultare l'ormai irrisoria sovranità popolare.
La scalata politica del nuovo governante d'Italia è già nota: prima viene eletto presidente della provincia di Firenze, poi diventa sindaco della città rinascimentale e infine, dopo vari conguagli, diventa segretario del PD sbaragliando gli avversari Cuperlo e Civati. Non poteva certamente rinunciare alla presidenza del Consiglio. Interessante risulta l'intervento nel blog di Beppe Grillo, che afferma "Letta e Renzie sono dei prestanome, utili a chi li ha sostenuti e li sostiene. Marionette. Il Parlamento e lo stesso Governo sono un'illusione ottica e il Quirinale una monarchia. Dall'esterno il cittadino assiste a una squallida lotta tra bande per il potere mentre <nel fango affonda lo stivale dei maiali>". Questo ragionamento diviene logico se si pensa che Renzi otterrà il controllo delle nomine delle aziende di Stato (ENI, ENEL, Finmeccanica) che scadranno tra due mesi.
Ma perchè hanno licenziato Letta? Non rendeva bene l'incarico di Premier dei poteri forti? Eppure il suo curriculum era abbastanza promettente. Lo Sai, un blog d'informazione controcorrente dà una probabile risposta a questa domanda sostenendo che le dimissioni siano state causate anche da una frase detta alla trasmissione Otto e mezzo e nel quale sosterrebbe che se avesse la possibilità di stampare moneta risolverebbe i problemi. Personalmente la ritengo un'esagerazione, ma le vie dei poteri forti sono infinite e quindi purtroppo il dubbio rimane.
I tragici eventi della democrazia italiana continuano e, dopo la ghigliottina messa in atto da Laura Boldrini, sembra che il potere decisionale degli italiani sia stato messo da parte per perseguire un interesse sempre più grande: Europa docet oramai, se non si è sulla prospettiva giusta si viene tagliati fuori! E' successo al festaiolo Berlusconi, è successo al Movimento 5 Stelle, è successo agli italiani. Il mostro di cui non conosciamo l'identità avanza, si percepiscono le sue magagne, si rendono palesi, ma nonostante ciò buona parte della gente non vuole rendersi consapevole e vede in Renzi un buon sostegno per quest'Italia sfinita e all'ultimo respiro. Il PD fa previsioni fino al 2018, non conscio probabilmente dell'ancora instabilità che si ripercuote nella politica italiana. L'infinito colpo di Stato continua e ne vedremo delle belle!
Stanley Kubrick (1928-1999)
è stato uno dei migliori cineaisti della storia del cinema. Nato il
26 luglio 1928 a New York, sin da bambino si interessa ai miti
dell'antica Grecia e alle fiabe nordiche, coltivando anche la
passione per il Jazz e per gli scacchi. Accanto a questi hobby
possiamo trovare anche la fotografia, nota fondamentale nella sua
biografia poichè grazie ad una foto venduta alla rivista Look
ritraente un edicolante rattristato dalla morte di Roosvelt,
comincerà la sua carriera fotografica, proseguita attraverso studi
artistici di fotografia e con un lavoro dopo il diploma, ottenuto con
grande sforzo, per la medesima rivista. Nel mentre approfondisce
anche l'interesse per la filosofia, soprattutto per quella di
Nietzsche.
Dopo quattro anni di studio
all'accademia di arte cinematografica si dedica al cinema,
riscuotendo un discreto successo con i cortometraggi. Inizia la sua
carriera da regista nel 1953, producendo il primo lungometraggio
Paura e desiderio.
Le
caratteristiche fondamentali del suo cinema che permettono di
distinguerlo dal lavoro di altri registi sono: la passione per la
fotografia,
dato che Kubrick studiava attentamente l'inquadratura con una cura
inimmaginabile per l'illuminazione, per la prospettiva e per la
posizione degli attori in scena; la musica, con la quale
sottolinea i momenti particolari dei suoi film; il tempo
prolungato ed estenuante, elemento che ha sperimentato in ogni
suo film; la versatilità
con il quale si destreggia nei vari generi cinematografici,
dall'horror (Shining, 1980) al fantascientifico (2001:Odissea nello
spazio, 1968), sino ai film di guerra (Full Metal Jacket, 1987).
Inoltre il cinema di Kubrick non esprime mai una morale, lasciando
allo spettatore la totale autonomia di valutazione.
Qui sotto vi proporrò lo
spezzone finale del film 2001:Odissea nello spazio,
un film molto particolare dato che incarna in sè la filosofia
dell'Oltreuomo di Nietzsche (perfettamente deducibile in ciò che vi
sto proponendo). Il film è diviso in quattro parti: - la prima
parte è ambientata in Africa e vede come protagonista un gruppo di
ominidi che, a seguito dell'arrivo di un monolite nero, imparano ad
usare strumenti utili per la sopravvivenza; - la seconda parte ci
catapulta in un futuro in cui le missioni spaziali sono nella norma.
Il dottor Floyd è in missione in una base lunare dopo il
ritrovamento di un monolite nero sotterrato; - nella terza parte il tema principale sarà l'intelligenza
artificiale, che si ribella all'uomo. Uno degli astronauti, David
Bowman, riesce a disattivare il supercomputer HAL 9000; - nella quarta ed ultima parte, Bowman
avvista il monolite nero e mentre cerca di avvicinarsi con una
capsula, lo spazio viene cancellato. E' così che si ritrova in una
stanza stile Impero, dove sopravvive e dove vede se stesso
invecchiare. Quando raggiunge lo stato massimo della sua vecchiaia
rinasce in forma di feto cosmico e scruta la terra.
Viene
fatto intendere che Bowman ha subito un' accellerazione evolutiva, impersonando così l'Oltreuomo di Nietzsche, concetto
reso ancora più chiaro dalla musica che accompagna l'intera scena,
ovvero Così parlò Zarathustra di
Richard Strauss.
Torno
a scrivere dopo un lungo periodo di stop nel quale sono tornato nella
mia terra natale per trascorrere le tanto attese vacanze. Il tema che
ho deciso di trattare oggi è abbastanza personale, ma credo che
nella mia stessa situazione si potranno identificare molti studenti
fuori-sede...
Trasferirsi
in un'altra città, ambientarsi, organizzarsi e stravolgere
totalmente i propri stili di vita deve essere un qualcosa di
traumatico per tutti ed io ovviamente non ho fatto eccezione.
All'inizio non sapevo neanche da dove cominciare, tra casa, studio e
conoscenze... Pian piano però i rapporti si legano, a casa si
diventa meno maldestri e la nuova vita di solito piace. A Bologna ho
passato tre mesi di fila, da settembre a dicembre, e nonostante ci
avessi preso gusto a vivere nella città dei portici, la voglia di
tornare a casa c'era.
Quando
finalmente rimisi piede in Sicilia, era la notte del 20 dicembre,
riconoscere la propria strada, rientrare in casa e risalutare tutti,
ricordarsi degli odori e delle avventure domestiche passate, mi ha
trasportato in una strana dimensione: non avevo scordato la mia
vecchia vita, l'avevo semplicemente sospesa ed ero felice di
riprenderla. I giorni successivi li passai con gli amici, nuovi e
d'infanzia, e nel mese abbondante nel quale mi sono intrattenuto
nella mia città posso sicuramente trarre un bilancio molto positivo.
Bella la vita a Bologna, ma casa è sempre la casa.
Tra
famiglia e amici un mese è praticamente volato, sembra la solita
mielosa e banale frase, ma nel mio caso è stata particolarmente
vera. Il pensiero di ripartire negli ultimi giorni mi rendeva
combattuto: Bologna e la vita che facevo mi mancavano, ma il pensiero
di altri tre mesi fuori casa mi appesantiva l'umore. La sera prima
della partenza, fatti i bagagli, mi sono affacciato fuori, nel
balcone, ed ho vissuto un minuto di riflessione particolarmente
intenso, nel quale ho avuto la percezione di rivivere in un flash
queste vacanze... Mi sono ricordato di quando ero arrivato, delle
sere passate tra gli amici d'infanzia e quelli più recenti, dei
giochi in famiglia; tutto vissuto nel giro di pochissimi istanti. Il
giorno dopo l'aereo mi aspettava e staccai il biglietto.
Ora
scrivo dalla mia stanza a Bologna, il sud mi manca, non lo nego, ma
le esperienze si fanno e i ricordi si conservano. Questa pausa è
stata utile e benefica. La nostalgia è utile per capire che in
determinati contesti si è stati felici.
Ieri ho rivisto tutti i miei cari amici e colleghi “del nord”. Adesso sono di nuovo contento, la felicità arriva sempre ed esistono vari modi per godersela. Bologna è qui, sono soddisfatto di esserci.
Certe volte, se una persona ci riflette su si renderà conto di quanto la religione e la filosofia abbiano influenzato la nostra visione delle cose e in questo modo modificato nettamente il nostro pensiero. Il soggetto analizzato in questo post sarà la coscienza, o almeno cosa pensiamo che sia; si perché sembra tanto ovvio, quando in realtà di ovvio non ha proprio nulla. L'idea della coscienza come attività riflessiva del pensiero che comunica con il mondo esterno attraverso il corpo è un concetto ormai assimilato e che deriva in sostanza da due influenze: il cristianesimo, in cui è presenta il concetto religioso di anima, vista come parte vitale e spirituale di un essere vivente; il dualismo cartesiano, che coincilia l'idea di anima in una visione più laica, quella della sostanza pensante (rescogitans), incorporea, consapevole e libera, risolvendo il rapporto tra sostanza pensante e sostanza estesa (resextensa) attraverso la ghiandola pineale, la zona del cervello in cui risiederebbe il nostro <Io>.
Questa cultura dell'essenza assimilata e data per scontata dall'Occidente, viene a scontrarsi con una visione molto diversa che personalmente ho conosciuto nel libro di Denis Noble "Lamusicadellavita". Nell'ultimo capitolo si viene a scoprire come nella cultura orientale cinese il concetto di <Io> non esiste, il linguaggio non lo ammette.
Come dobbiamo reagire davanti alla presenza di culture che destabilizzano il nostro modo di vedere le cose? Evidentemente queste visioni della coscienza vanno superate in quanto retaggi di cultura; c'è bisogno di una sostanziale oggettività rispetto a ciò che abbiamo imparato sin da piccoli, in modo tale da poter analizzare le cose con più rigore e indiscrezione.
Sempre nel libro Lamusicadellavita, Noble propone un esperimento mentale: immaginare un individuo in uno stato di deprivazione sensoriale completa, e afferma che "il cervello lasciato a se stesso non comunica, e non ha senso attribuire la coscienza a qualcosa che non è in grado di comunicare". Tutto ciò mi ha fatto riflettere: è come se Noble attribuisse alla coscienza la sola capacità di interagire con il mondo esterno. In realtà è proprio questo che fa, ma c'è una componente che in realtà ha dimenticato. Come reagirebbe una mente adulta alla deprivazione sensoriale? Cadrebbe nel vuoto o forse interagirebbe con le esperienze già vissute? Eppure la risposta dovrebbe essere abbastanza scontata, vista la ancora esigua quantità di persone che hanno raccontato il brivido di entrare in una vasca di deprivazione sensoriale. La mente crea delle allucinazioni la quale esistenza è possibile solo grazie al fatto che le sensazioni sono state già provate nella vita reale! La deduzione sembra ormai palese: la coscienza vista come un processo di registrazione, consapevole o inconsapevole, dell'esperienza vissuta, anche della più semplice, che permette di sviluppare quel lento processo di crescita individuale che caraterizza l'intera esistenza di ogni essere umano. La "memoria" risulta quindi la parte fondamentale della nostra essenza! Basti pensare alle ripercussioni che possono portare in un individuo adulto esperienze negative avute durante l'età infantile, o anche di come un'esperienza straordinariamente positiva ci possa cambiare completamente il modo di vivere la vita. Non è difficile poi pensare alle minime esperienze di vita quotidiana che influenzano la nostra coscienza, anche se in minima parte, come se fossero dei piccoli mattoni che uniti formano una casa!
È un ritorno alla filosofia vitalistica di Bergson.
Arrivati a questo punto è bene essere consci delle conseguenze pratiche che una teoria del genere comporta. Ad esempio, che ruolo avrebbe la responsabilità individuale in questa visione delle cose? L'individuo non sarebbe più responsabile completamente delle sue azioni, perché esse sono influenzate in una maniera o nell'altra da esperienze positive o negative vissute! Se da una parte la preoccupazione più grande sarebbe a chi attribuire il crimine compiuto da una persona, dall'altra ci sarebbe la "utopistica" possibilità di debellare le azioni criminose direttamente alla radice.