lunedì 27 gennaio 2014

Uno sguardo sul cinema: Stanley Kubrick.

Stanley Kubrick (1928-1999) è stato uno dei migliori cineaisti della storia del cinema. Nato il 26 luglio 1928 a New York, sin da bambino si interessa ai miti dell'antica Grecia e alle fiabe nordiche, coltivando anche la passione per il Jazz e per gli scacchi. Accanto a questi hobby possiamo trovare anche la fotografia, nota fondamentale nella sua biografia poichè grazie ad una foto venduta alla rivista Look ritraente un edicolante rattristato dalla morte di Roosvelt, comincerà la sua carriera fotografica, proseguita attraverso studi artistici di fotografia e con un lavoro dopo il diploma, ottenuto con grande sforzo, per la medesima rivista. Nel mentre approfondisce anche l'interesse per la filosofia, soprattutto per quella di Nietzsche.
Dopo quattro anni di studio all'accademia di arte cinematografica si dedica al cinema, riscuotendo un discreto successo con i cortometraggi. Inizia la sua carriera da regista nel 1953, producendo il primo lungometraggio Paura e desiderio.
Le caratteristiche fondamentali del suo cinema che permettono di distinguerlo dal lavoro di altri registi sono: la passione per la fotografia, dato che Kubrick studiava attentamente l'inquadratura con una cura inimmaginabile per l'illuminazione, per la prospettiva e per la posizione degli attori in scena; la musica, con la quale sottolinea i momenti particolari dei suoi film; il tempo prolungato ed estenuante, elemento che ha sperimentato in ogni suo film; la versatilità con il quale si destreggia nei vari generi cinematografici, dall'horror (Shining, 1980) al fantascientifico (2001:Odissea nello spazio, 1968), sino ai film di guerra (Full Metal Jacket, 1987). Inoltre il cinema di Kubrick non esprime mai una morale, lasciando allo spettatore la totale autonomia di valutazione.
Qui sotto vi proporrò lo spezzone finale del film 2001:Odissea nello spazio, un film molto particolare dato che incarna in sè la filosofia dell'Oltreuomo di Nietzsche (perfettamente deducibile in ciò che vi sto proponendo). Il film è diviso in quattro parti: 
- la prima parte è ambientata in Africa e vede come protagonista un gruppo di ominidi che, a seguito dell'arrivo di un monolite nero, imparano ad usare strumenti utili per la sopravvivenza; 
- la seconda parte ci catapulta in un futuro in cui le missioni spaziali sono nella norma. Il dottor Floyd è in missione in una base lunare dopo il ritrovamento di un monolite nero sotterrato; 
- nella terza parte il tema principale sarà l'intelligenza artificiale, che si ribella all'uomo. Uno degli astronauti, David Bowman, riesce a disattivare il supercomputer HAL 9000; 
- nella quarta ed ultima parte, Bowman avvista il monolite nero e mentre cerca di avvicinarsi con una capsula, lo spazio viene cancellato. E' così che si ritrova in una stanza stile Impero, dove sopravvive e dove vede se stesso invecchiare. Quando raggiunge lo stato massimo della sua vecchiaia rinasce in forma di feto cosmico e scruta la terra.
Viene fatto intendere che Bowman ha subito un' accellerazione evolutiva, impersonando così l'Oltreuomo di Nietzsche, concetto reso ancora più chiaro dalla musica che accompagna l'intera scena, ovvero Così parlò Zarathustra di Richard Strauss.

Luca Martis

sabato 25 gennaio 2014

L'ebbrezza della felicità e della nostalgia

Torno a scrivere dopo un lungo periodo di stop nel quale sono tornato nella mia terra natale per trascorrere le tanto attese vacanze. Il tema che ho deciso di trattare oggi è abbastanza personale, ma credo che nella mia stessa situazione si potranno identificare molti studenti fuori-sede...

Trasferirsi in un'altra città, ambientarsi, organizzarsi e stravolgere totalmente i propri stili di vita deve essere un qualcosa di traumatico per tutti ed io ovviamente non ho fatto eccezione. All'inizio non sapevo neanche da dove cominciare, tra casa, studio e conoscenze... Pian piano però i rapporti si legano, a casa si diventa meno maldestri e la nuova vita di solito piace. A Bologna ho passato tre mesi di fila, da settembre a dicembre, e nonostante ci avessi preso gusto a vivere nella città dei portici, la voglia di tornare a casa c'era.

Quando finalmente rimisi piede in Sicilia, era la notte del 20 dicembre, riconoscere la propria strada, rientrare in casa e risalutare tutti, ricordarsi degli odori e delle avventure domestiche passate, mi ha trasportato in una strana dimensione: non avevo scordato la mia vecchia vita, l'avevo semplicemente sospesa ed ero felice di riprenderla. I giorni successivi li passai con gli amici, nuovi e d'infanzia, e nel mese abbondante nel quale mi sono intrattenuto nella mia città posso sicuramente trarre un bilancio molto positivo. Bella la vita a Bologna, ma casa è sempre la casa.

Tra famiglia e amici un mese è praticamente volato, sembra la solita mielosa e banale frase, ma nel mio caso è stata particolarmente vera. Il pensiero di ripartire negli ultimi giorni mi rendeva combattuto: Bologna e la vita che facevo mi mancavano, ma il pensiero di altri tre mesi fuori casa mi appesantiva l'umore. La sera prima della partenza, fatti i bagagli, mi sono affacciato fuori, nel balcone, ed ho vissuto un minuto di riflessione particolarmente intenso, nel quale ho avuto la percezione di rivivere in un flash queste vacanze... Mi sono ricordato di quando ero arrivato, delle sere passate tra gli amici d'infanzia e quelli più recenti, dei giochi in famiglia; tutto vissuto nel giro di pochissimi istanti. Il giorno dopo l'aereo mi aspettava e staccai il biglietto.

Ora scrivo dalla mia stanza a Bologna, il sud mi manca, non lo nego, ma le esperienze si fanno e i ricordi si conservano. Questa pausa è stata utile e benefica. La nostalgia è utile per capire che in determinati contesti si è stati felici.

Ieri ho rivisto tutti i miei cari amici e colleghi “del nord”. Adesso sono di nuovo contento, la felicità arriva sempre ed esistono vari modi per godersela. Bologna è qui, sono soddisfatto di esserci. 


Corrado Schininà

giovedì 23 gennaio 2014

La coscienza come processo di crescita.

Certe volte, se una persona ci riflette su si renderà conto di quanto la religione e la filosofia abbiano influenzato la nostra visione delle cose e in questo modo modificato nettamente il nostro pensiero. Il soggetto analizzato in questo post sarà la coscienza, o almeno cosa pensiamo che sia; si perché sembra tanto ovvio, quando in realtà di ovvio non ha proprio nulla. L'idea della coscienza come attività riflessiva del pensiero che comunica con il mondo esterno attraverso il corpo è un concetto ormai assimilato e che deriva in sostanza da due influenze: il cristianesimo, in cui è presenta il concetto religioso di anima, vista come parte vitale e spirituale di un essere vivente; il dualismo cartesiano, che coincilia l'idea di anima in una visione più laica, quella della sostanza pensante (res cogitans), incorporea, consapevole e libera, risolvendo il rapporto tra sostanza pensante e sostanza estesa (res extensa) attraverso la ghiandola pineale, la zona del cervello in cui risiederebbe il nostro <Io>.
Questa cultura dell'essenza assimilata e data per scontata dall'Occidente, viene a scontrarsi con una visione molto diversa che personalmente ho conosciuto nel libro di Denis Noble "La musica della vita". Nell'ultimo capitolo si viene a scoprire come nella cultura orientale cinese il concetto di <Io> non esiste, il linguaggio non lo ammette.
Come dobbiamo reagire davanti alla presenza di culture che destabilizzano il nostro modo di vedere le cose? Evidentemente queste visioni della coscienza vanno superate in quanto retaggi di cultura; c'è bisogno di una sostanziale oggettività rispetto a ciò che abbiamo imparato sin da piccoli, in modo tale da poter analizzare le cose con più rigore e indiscrezione.
Sempre nel libro La musica della vita, Noble propone un esperimento mentale: immaginare un individuo in uno stato di deprivazione sensoriale completa, e afferma che "il cervello lasciato a se stesso non comunica, e non ha senso attribuire la coscienza a qualcosa che non è in grado di comunicare". Tutto ciò mi ha fatto riflettere: è come se Noble attribuisse alla coscienza la sola capacità di interagire con il mondo esterno. In realtà è proprio questo che fa, ma c'è una componente che in realtà ha dimenticato. Come reagirebbe una mente adulta alla deprivazione sensoriale? Cadrebbe nel vuoto o forse interagirebbe con le esperienze già vissute? Eppure la risposta dovrebbe essere abbastanza scontata, vista la ancora esigua quantità di persone che hanno raccontato il brivido di entrare in una vasca di deprivazione sensoriale. La mente crea delle allucinazioni la quale esistenza è possibile solo grazie al fatto che le sensazioni sono state già provate nella vita reale! La deduzione sembra ormai palese: la coscienza vista come un processo di registrazione, consapevole o inconsapevole, dell'esperienza vissuta, anche della più semplice, che permette di sviluppare quel lento processo di crescita individuale che caraterizza l'intera esistenza di ogni essere umano. La "memoria" risulta quindi la parte fondamentale della nostra essenza! Basti pensare alle ripercussioni che possono portare in un individuo adulto esperienze negative avute durante l'età infantile, o anche di come un'esperienza straordinariamente positiva ci possa cambiare completamente il modo di vivere la vita. Non è difficile poi pensare alle minime esperienze di vita quotidiana che influenzano la nostra coscienza, anche se in minima parte, come se fossero dei piccoli mattoni che uniti formano una casa!
È un ritorno alla filosofia vitalistica di Bergson.
Arrivati a questo punto è bene essere consci delle conseguenze pratiche che una teoria del genere comporta. Ad esempio, che ruolo avrebbe la responsabilità individuale in questa visione delle cose? L'individuo non sarebbe più responsabile completamente delle sue azioni, perché esse sono influenzate in una maniera o nell'altra da esperienze positive o negative vissute! Se da una parte la preoccupazione più grande sarebbe a chi attribuire il crimine compiuto da una persona, dall'altra ci sarebbe la "utopistica" possibilità di debellare le azioni criminose direttamente alla radice.
Luca Martis