giovedì 20 febbraio 2014

I limiti del mondo moderno

Viviamo in una società frenetica, in cui spesso corriamo ma spesso non sappiamo in che direzione andare. Siamo condizionati dagli schemi imposti dalla società e alla fine non riusciamo a esprimere noi stessi perché siamo paralizzati da un sistema che da noi non chiede l'auto-realizzazione, ma il profitto. E quando un sistema entra in crisi (come d'altronde accade dal 2008), difficilmente pensiamo a come il problema si sia originato, ma pensiamo subito a come risolverlo nel minor tempo possibile (o almeno, questa è la logica dei governi).

In tempi di recessione economica, stringere la cinghia e andare avanti è cosa dovuta. Dinanzi a queste situazioni, tendiamo a pensare che questi crack siano fisiologici, che la ripresa è alle porte e che ne usciremo meglio di prima.
La ricetta per uscire dalla crisi? Rilanciare i consumi e diventare competitivi: col primo obbiettivo incrementiamo il PIL, col secondo avremo delle aziende leader nei profitti.
Queste affermazioni, che possono risuonare come giuste ed efficaci (anche perché le abbiamo sentite tante e troppe volte), dietro di loro nascondono un sistema becero e sprecone, sordo alle esigenze umane e felice ai numeri.

Per quanto riguarda il PIL, la critica più stringente è che non tiene conto delle istanze umane più basilari (come il garantire cibo, acqua, istruzione, salute alle persone) e punta tutto sulla produzione illimitata di oggetti che dovranno essere comprati, rotti e ricomprati dalla società. Il sistema così esce fuori dalla sua dimensione umana ed entra in quella numerica in cui ad essere importante non è più la condizione di vita delle persone, ma l'accumulare più cose possibili per garantire profitti e PIL. E' la quantità che primeggia sulla qualità.
A fine post vi ho allegato il discorso di Robert Kennedy (fratello del presidente John) che meglio di tutti descrive questo scellerato indice di 'sviluppo' umano.

Il sistema del PIL non è solo ingiusto con le persone (cioè noi), ma è addirittura controproducente: in esso sono inclusi anche gli sprechi di cibo, di energia, gli incidenti automobilistici etc. Insomma, non solo il sistema per valutare il benessere delle persone si basa sul consumo e non sulle persone stesse, ma trova sua linfa vitale anche nello spreco. Infine, ecco una domanda che si pongono decrescisti e critici di questo 'sviluppo': “Come è possibile che in un mondo di risorse finite si generi una crescita infinita?”. Lasciamo le riflessioni ai nostri lettori.

Anche la stessa competitività aziendale riserva qualche pro e molti contro... Di fatti, se è vero che un'azienda che va bene assume nuovi lavoratori e garantisce occupazione, bisogna stare attenti alle condizioni di lavoro imposte: le piccole imprese, per poter competere con quelle maggiori, spesso sono costrette ad operare licenziamenti e nella migliore delle ipotesi a rinegoziare i contratti togliendo fondi alle politiche sociali del lavoratori. Così facendo si arriva alla situazione paradossale nella quale l'azienda registra il segno più nei bilanci, ma i lavoratori (cioè le persone) arrivano a percepire salari più bassi ed hanno meno tutele sociali (d'altronde da qualche anno si parla di togliere o di limitare l'articolo 18). La beffa è che spesso la competizione viene fatta da quelle multinazionali che devono la loro fortuna alla manodopera a basso costo e al disinteresse verso i diritti di chi li fa guadagnare. E noi, per competere, dobbiamo abbassarci a loro?

Evidentemente nel sistema del mercato qualcosa non va. La mera concorrenza fa perdere diritti, l'incremento dei consumi fa sprecare risorse: forse anziché provare a rimettere in sesto un sistema illogico agli umani e logico ai numeri e ai consumi, bisognerebbe essere un po' più folli e proporre nuove idee, un nuovo modo di guardare alla realtà e allo sviluppo, quello vero, della società.

Corrado Schininà



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