Viviamo
in una società frenetica, in cui spesso corriamo ma spesso non
sappiamo in che direzione andare. Siamo condizionati dagli schemi
imposti dalla società e alla fine non riusciamo a esprimere noi
stessi perché siamo paralizzati da un sistema che da noi non chiede
l'auto-realizzazione, ma il profitto. E quando un sistema entra in
crisi (come d'altronde accade dal 2008), difficilmente pensiamo a
come il problema si sia originato, ma pensiamo subito a come
risolverlo nel minor tempo possibile (o almeno, questa è la logica
dei governi).
In
tempi di recessione economica, stringere la cinghia e andare avanti è
cosa dovuta. Dinanzi a queste situazioni, tendiamo a pensare che
questi crack siano fisiologici, che la ripresa è alle porte e che ne
usciremo meglio di prima.
La
ricetta per uscire dalla crisi? Rilanciare i consumi e diventare
competitivi: col primo obbiettivo incrementiamo il PIL, col secondo
avremo delle aziende leader nei profitti.
Queste
affermazioni, che possono risuonare come giuste ed efficaci (anche
perché le abbiamo sentite tante e troppe volte), dietro di loro
nascondono un sistema becero e sprecone, sordo alle esigenze umane e
felice ai numeri.
Per
quanto riguarda il PIL, la critica più stringente è che non tiene
conto delle istanze umane più basilari (come il garantire cibo,
acqua, istruzione, salute alle persone) e punta tutto sulla
produzione illimitata di oggetti che dovranno essere comprati, rotti
e ricomprati dalla società. Il sistema così esce fuori dalla sua
dimensione umana ed entra in quella numerica in cui ad essere
importante non è più la condizione di vita delle persone, ma
l'accumulare più cose possibili per garantire profitti e PIL. E' la
quantità che primeggia sulla qualità.
A
fine post vi ho allegato il discorso di Robert Kennedy (fratello del
presidente John) che meglio di tutti descrive questo scellerato
indice di 'sviluppo' umano.
Il
sistema del PIL non è solo ingiusto con le persone (cioè noi), ma è
addirittura controproducente: in esso sono inclusi anche gli sprechi
di cibo, di energia, gli incidenti automobilistici etc. Insomma, non
solo il sistema per valutare il benessere delle persone si basa sul
consumo e non sulle persone stesse,
ma trova sua linfa vitale anche nello spreco. Infine, ecco una
domanda che si pongono decrescisti e critici di questo 'sviluppo':
“Come è possibile che in un mondo di risorse finite si generi
una crescita infinita?”. Lasciamo le riflessioni ai nostri
lettori.
Anche
la stessa competitività aziendale riserva qualche pro e molti
contro... Di fatti, se è vero che un'azienda che va bene assume
nuovi lavoratori e garantisce occupazione, bisogna stare attenti alle
condizioni di lavoro imposte: le piccole imprese, per poter
competere con quelle maggiori, spesso sono costrette ad operare
licenziamenti e nella migliore delle ipotesi a rinegoziare i
contratti togliendo fondi alle politiche sociali del lavoratori. Così
facendo si arriva alla situazione paradossale nella quale l'azienda
registra il segno più nei bilanci, ma i lavoratori (cioè le
persone) arrivano a percepire salari più bassi ed hanno meno tutele
sociali (d'altronde da qualche anno si parla di togliere o di
limitare l'articolo 18). La beffa è che spesso la competizione viene
fatta da quelle multinazionali che devono la loro fortuna alla
manodopera a basso costo e al disinteresse verso i diritti di chi li
fa guadagnare. E noi, per competere, dobbiamo abbassarci a loro?
Evidentemente nel sistema del mercato qualcosa non va. La mera concorrenza fa perdere diritti, l'incremento dei consumi fa sprecare risorse: forse anziché provare a rimettere in sesto un sistema illogico agli umani e logico ai numeri e ai consumi, bisognerebbe essere un po' più folli e proporre nuove idee, un nuovo modo di guardare alla realtà e allo sviluppo, quello vero, della società.
Corrado Schininà
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