La
distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale
niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè
all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di
Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento
che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente. Non posso però
sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra
"fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né
pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una
decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura
e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni
fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non
c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico",
ma nemmeno un anno prima
che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).
Il
confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque
"cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo
democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo
radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel
"qualcosa" che è successo una decina di anni fa. Poiché
sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri
scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere
poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una
decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il
nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio).
Nei
primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e,
soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli
azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le
lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni
le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza
straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo,
non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque
non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel
"qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo
chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole". Il regime
democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo
non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa
continuità, ma sono diventate addirittura storicamente
incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente
hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla
fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è
quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una
alla volta.
Prima
della scomparsa delle lucciole
La
continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è
completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si
diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la
mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza
poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò
che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La
democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla
dittatura fascista, era spudoratamente formale.
Si
fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di
enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal
Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su
un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori"
che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la
Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il
risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto
durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano
cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia
arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui
venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che
perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo
conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e
democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle
"élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali
sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime
democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e
il formalismo vaticani.
Tutto
ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si
nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate
speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e
che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di
passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di
transizione.
Durante
la scomparsa delle lucciole
In
questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul
"Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il
grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa
operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche
più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole
stavano scomparendo". Essi erano informati abbastanza bene dalla
sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo
dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in
sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica
che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che
allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo"
che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente
il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava
Marx.
Dopo
la scomparsa delle lucciole
I
"valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio
universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più.
Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità
non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. Essi
sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in
sostanza li ripudia). A sostituirli sono i "valori" di un
nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla
civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata
fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto
particolare, perché si tratta della prima "unificazione"
reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si
sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla
ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il
trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità"
pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo
precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle
diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta
omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione
di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non
ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio,
aberrante,
imponderabile corpo delle truppe naziste.
In
Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore
violenza, poiché
l'industrializzazione
degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva
anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più
di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a
una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui
scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani
reagissero peggio di così a tale trauma storico.
Essi
sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo
degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per
strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della
gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo
amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione
disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e
umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di
essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento
coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del
popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non
era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il
comportamento era
completamente
dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere "totalitario"
iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la
coscienza non ne era implicata. I "modelli" fascisti non
erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista
è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in
Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha
celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno
prima. È ridicolo dunque che Fortini retrodati la distinzione tra
fascismo e fascismo al primo dopoguerra: la distinzione tra il
fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del potere
democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma
probabilmente nell'intera storia.
Io
tuttavia non scrivo il presente articolo solo per polemizzare su
questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo il presente
articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola. Tutti i
miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei
potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle
maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare radiosi
sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si
raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti
dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che agli
elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri
potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in
cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse
stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo
che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un
mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto. La
spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico
vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere
legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né,
infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso
tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Come
siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti
gli uomini di potere?". La spiegazione, ancora, è semplice: gli
uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle
lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole"
senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla
criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata
assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi
detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale"
evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura.
Essi
si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe
stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno
sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi
continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del
Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si
erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista
(come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il
potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già
manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto
transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per
la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del
fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi
imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino
ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto,
senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla
permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto
violentemente totalizzante).
Gli
uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo
di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono
accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a
loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre (cfr. Gramsci)
solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di
transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole –
gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato
il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente
nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo
Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come
il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state,
organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente
riuscito, di conservare comunque il potere. Dico formalmente perché,
ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro
manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede
senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili
apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso
doppiopetto.
Tuttavia
nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può
essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in
effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi,
attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere
l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa"
del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire"
il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per
trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico,
urbanistico, antropologico.
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.
Corriere della Sera, 1 Febbraio 1975
Luca Martis
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