giovedì 23 gennaio 2014

La coscienza come processo di crescita.

Certe volte, se una persona ci riflette su si renderà conto di quanto la religione e la filosofia abbiano influenzato la nostra visione delle cose e in questo modo modificato nettamente il nostro pensiero. Il soggetto analizzato in questo post sarà la coscienza, o almeno cosa pensiamo che sia; si perché sembra tanto ovvio, quando in realtà di ovvio non ha proprio nulla. L'idea della coscienza come attività riflessiva del pensiero che comunica con il mondo esterno attraverso il corpo è un concetto ormai assimilato e che deriva in sostanza da due influenze: il cristianesimo, in cui è presenta il concetto religioso di anima, vista come parte vitale e spirituale di un essere vivente; il dualismo cartesiano, che coincilia l'idea di anima in una visione più laica, quella della sostanza pensante (res cogitans), incorporea, consapevole e libera, risolvendo il rapporto tra sostanza pensante e sostanza estesa (res extensa) attraverso la ghiandola pineale, la zona del cervello in cui risiederebbe il nostro <Io>.
Questa cultura dell'essenza assimilata e data per scontata dall'Occidente, viene a scontrarsi con una visione molto diversa che personalmente ho conosciuto nel libro di Denis Noble "La musica della vita". Nell'ultimo capitolo si viene a scoprire come nella cultura orientale cinese il concetto di <Io> non esiste, il linguaggio non lo ammette.
Come dobbiamo reagire davanti alla presenza di culture che destabilizzano il nostro modo di vedere le cose? Evidentemente queste visioni della coscienza vanno superate in quanto retaggi di cultura; c'è bisogno di una sostanziale oggettività rispetto a ciò che abbiamo imparato sin da piccoli, in modo tale da poter analizzare le cose con più rigore e indiscrezione.
Sempre nel libro La musica della vita, Noble propone un esperimento mentale: immaginare un individuo in uno stato di deprivazione sensoriale completa, e afferma che "il cervello lasciato a se stesso non comunica, e non ha senso attribuire la coscienza a qualcosa che non è in grado di comunicare". Tutto ciò mi ha fatto riflettere: è come se Noble attribuisse alla coscienza la sola capacità di interagire con il mondo esterno. In realtà è proprio questo che fa, ma c'è una componente che in realtà ha dimenticato. Come reagirebbe una mente adulta alla deprivazione sensoriale? Cadrebbe nel vuoto o forse interagirebbe con le esperienze già vissute? Eppure la risposta dovrebbe essere abbastanza scontata, vista la ancora esigua quantità di persone che hanno raccontato il brivido di entrare in una vasca di deprivazione sensoriale. La mente crea delle allucinazioni la quale esistenza è possibile solo grazie al fatto che le sensazioni sono state già provate nella vita reale! La deduzione sembra ormai palese: la coscienza vista come un processo di registrazione, consapevole o inconsapevole, dell'esperienza vissuta, anche della più semplice, che permette di sviluppare quel lento processo di crescita individuale che caraterizza l'intera esistenza di ogni essere umano. La "memoria" risulta quindi la parte fondamentale della nostra essenza! Basti pensare alle ripercussioni che possono portare in un individuo adulto esperienze negative avute durante l'età infantile, o anche di come un'esperienza straordinariamente positiva ci possa cambiare completamente il modo di vivere la vita. Non è difficile poi pensare alle minime esperienze di vita quotidiana che influenzano la nostra coscienza, anche se in minima parte, come se fossero dei piccoli mattoni che uniti formano una casa!
È un ritorno alla filosofia vitalistica di Bergson.
Arrivati a questo punto è bene essere consci delle conseguenze pratiche che una teoria del genere comporta. Ad esempio, che ruolo avrebbe la responsabilità individuale in questa visione delle cose? L'individuo non sarebbe più responsabile completamente delle sue azioni, perché esse sono influenzate in una maniera o nell'altra da esperienze positive o negative vissute! Se da una parte la preoccupazione più grande sarebbe a chi attribuire il crimine compiuto da una persona, dall'altra ci sarebbe la "utopistica" possibilità di debellare le azioni criminose direttamente alla radice.
Luca Martis

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